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BOMARZO – PARCO DEI MOSTRI

Il Parco dei Mostri, denominato anche Sacro Bosco o Villa delle Meraviglie di Bomarzo, in provincia di Viterbo, è un complesso monumentale italiano. Si tratta di un parco naturale ornato da numerose sculture in basalto risalenti al XVI secolo e ritraenti animali mitologici, divinità e mostri.
L’architetto e antiquario Pirro Ligorio su commissione del principe Pier Francesco Orsini (detto Vicino Orsini) progettò e sovraintese alla realizzazione, nel 1547, del parco, elevando a sistema, nelle figure mitologiche ivi rappresentate, il genere del grotesque. Alcuni studiosi, erroneamente, facevano risalire la “regia” a Michelangelo Buonarroti, mentre altri, in particolare per il Tempio citavano il nome di Jacopo Barozzi da Vignola. La realizzazione delle opere scultoree fu probabilmente affidata a Simone Moschino.
L’Orsini chiamò il parco Sacro Bosco e lo dedicò a sua moglie, Giulia Farnese (non l’omonima concubina del papa Alessandro VI). Vi sono anche architetture impossibili, come la casa inclinata, o alcune statue enigmatiche che rappresentano forse le tappe di un itinerario di matrice alchemica. Salvador Dalí ha parlato del Parco dei Mostri come di un’invenzione storica unica.
Iscrizioni sui monumenti stupiscono e confondono il visitatore. Forse questa era l’intenzione del principe:
«Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi.»
Ci sono anche implicazioni morali:
«Animus quiescendo fit prudentior ergo.»
O forse il complesso fu fatto semplicemente “per arte” in un doppio senso della parola:
«Tu ch’entri qua pon mente parte a parte et dimmi poi se tante maraviglie sien fatte per inganno o pur per arte.»
Scienziati storici e filologi hanno fatto parecchi tentativi di spiegare il labirinto di simboli, e hanno trovato temi antichi e motivi della letteratura rinascimentale, per esempio del Canzoniere di Francesco Petrarca, dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e dei poemi Amadigi e Floridante di Bernardo Tasso (in quest’ultimo compare ad esempio un dragone d’acciaio con una stanza all’interno, e dalla cui bocca uscivano amazzoni a cavallo). Sono rimasti, però, talmente tanti misteri che uno schema interpretativo universale, alla fine, forse non potrebbe essere trovato; su un pilastro, però, compare la possibile iscrizione-chiave “Sol per sfogare il core”. John Shearman, che cita più volte il parco nel suo Mannerism, parla di “incredibili, piacevoli e soprattutto manifeste finzioni – prodotti d’evasione artistica e letteraria”. Nel 1585, dopo la morte dell’ultimo principe Orsini, il parco fu abbandonato e nella seconda metà del Novecento fu restaurato dalla coppia Giancarlo e Tina Severi Bettini, i quali sono sepolti nel tempietto interno al parco, che forse è anche il sepolcro di Giulia Farnese.
Tra le curiosità del Parco, vi è il cosiddetto “Tempio”, il quale non faceva parte delle meraviglie del luogo, ma fu costruito venti anni dopo in onore della seconda moglie dell’Orsini, una principessa Farnese. La famiglia Bettini che ha restaurato il complesso l’ha dedicato alla memoria di Tina Severi Bettini, deceduta anche a causa di una contusione durante i lavori di ripristino del parco.
Mentre l’interno non è accessibile, all’esterno del tempio sono visibili i segni zodiacali. Questi non sono in ordine secondo lo zodiaco (Ariete, Toro, Gemelli, etc), ma si trovano disposti secondo il sistema solare. L’abside corrisponde infatti al mese di Luglio e del segno del Leone, governato dal Sole. Poi troviamo il segno del Cancro (con la Luna). Successivamente troviamo gli altri pianeti: Mercurio (che ha domicilio sia in Gemelli che in Vergine), Venere (domiciliata in Toro e Bilancia), Marte (Ariete e Scorpione), Giove (Pesci e Sagittario), Saturno (Aquario e Capricorno). Si può dedurre quindi che chi realizzò questa disposizione aveva cognizioni di astrologia e di astronomia. Tra l’altro la costruzione del Parco delle Meraviglie era iniziata qualche anno dopo la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium di Niccolò Copernico, dove l’astronomo polacco esponeva la sua tesi della teoria eliocentrica.
In seguito alla morte del proprietario, tuttavia, il luogo rimase completamente abbandonato per molti secoli; solo nel secondo dopoguerra il parco fu rilevato dalla famiglia Bettini, che lo bonificò e gli diede un nuovo assetto allo scopo di renderlo fruibile al pubblico.
Il Parco si estende su una superficie di circa 3 ettari, in una foresta di conifere e latifoglie. Al suo interno trovano posto un gran numero di sculture di varia grandezza ritraenti animali mitologici, ma anche edifici che riprendono il mondo classico e/o annullano le regole prospettiche o estetiche, allo scopo di confondere il visitatore.
Le sculture sono state realizzate in basalto, materiale disponibile in quantità massicce in loco; molte attrazioni sono contrassegnate da iscrizioni enigmatiche e misteriose, sopravvissute purtroppo in piccola parte. Tuttavia è bene notare che l’attuale disposizione delle attrazioni nel Parco non è, salvo alcuni casi documentati, quello originario, ma risale alla seconda metà del XX secolo, quando la famiglia Bettini lo rilevò e lo rimise in uso.
Non si conosce l’originario scopo con cui il parco è stato costruito: nel corso del tempo sono state formulate numerose ipotesi che vedrebbero il luogo come un “percorso iniziatico”. Di certo Vicino Orsini volle semplicemente dotarsi di un luogo incantato per il piacere altrui o personale.
Appena varcata la monumentale soglia del Bosco, il visitatore si ritrova di fronte a due Sfingi, il cui aspetto ricalca tanto i modelli classici (donna col corpo di leone) quanto quelli egizi (sono entrambe prive di ali). Le due sfingi, accoccolate su un basamento, sono simbolicamente a guardia del parco, e accolgono il visitatore con le due iscrizioni di “benvenuto” leggibili sotto di loro. Nascoste nei dintorni sono le figure di divinità boschive, attualmente poco discernibili.
Poco distante dalle Sfingi ma in posizione più dimessa rispetto al percorso principale è visibile il primo vero Mostro del Parco, identificato come Proteo oppure Glauco; è un immenso mascherone antropomorfo con la bocca spalancata, che sembra emergere direttamente dalle viscere della Terra, sormontato da un grande globo di pietra.
Nel Mausoleo, un grande masso apparentemente informe, in realtà modellato per sembrare il frontone di una tomba etrusca; le decorazioni ricalcano quelle di una tomba rinvenuta a Sovana.
La statua di Ercole e Caco (o “Lotta tra giganti”), denominata “il Colosso”, è la più grande presente nel Parco. Rappresenta la lotta di due giganti, identificati come Ercole e Caco. Intorno a loro, alcune figure di guerrieri ormai erose dal tempo.
Nei pressi dei giganti si trova questo gruppo di statue formato da una grossa tartaruga, sul cui guscio tondeggiante è collocata la statua di una Nike, e una grossa balena che emerge dalla terra. I due animali sembrano fissarsi reciprocamente.
Nela vasca di una fontana (probabilmente mai realmente stata in funzione) da cui emerge la figura di Pegaso. A poca distanza il cosiddetto “Albero-statua”, un tronco di larice scolpito su un masso.
Un grande ambiente a vasca che ricalca i ninfei d’età greco-romana, decorato con le figure delle tre Grazie e di tre ninfe. Sulla parete est si trova la colossale scultura di Venere su una grossa conchiglia, mentre nei dintorni è visibile una fontana ornata da figure di delfini.
A poca distanza dal Ninfeo, un altro ambiente di matrice classica: il Teatro. In realtà si tratta di una riproduzione molto piccola dell’esedra del palcoscenico.
Una delle maggiori attrattive del Parco è la Casa Pendente. Si tratta di un piccolo edificio costruito su un masso inclinato e perciò volutamente pendente; la particolarità è che gli interni sono pendenti in senso opposto rispetto all’esterno, causando smarrimento in chi vi entra. Si ritiene che orginariamente l’entrata del Bosco fosse esattamente di fronte alla Casa Pendente.
Un grande piazzale scandito da enormi vasi in pietra, un tempo ornati da iscrizioni oggi non più leggibili, conduce alla maestosa statua di Nettuno, dio dei Mari, adagiato su un letto d’acqua (come le divinità fluviali d’epoca romana) e tenente tra le braccia un delfino. A poca distanza, una ninfa Dormiente gigantesca riposa poggiata sinuosamente sul suo braccio.
Cerere, Dea delle messi e madre di Proserpina, è rappresentata come una gigantesca donna recante un cesto di spighe sul capo e nelle mani una fiaccola e la Cornucopia. Attorno a lei si scorgono figure di creature boschive.
Un maestoso elefante che reca sulla schiena una grossa torre e nella proboscide tiene un legionario romano, quasi a volerlo stritolare. Sembra un riferimento all’impresa di Annibale durante le Guerre puniche.
Il Drago, o più precisamente una viverna, uno spaventoso mostro rettiliforme che lotta contro tre animali, oggi non più riconoscibili.
L’Orco è sicuramente la figura più celebre del Parco e suo simbolo, è un grande faccione di pietra con la bocca spalancata; in realtà è una camera scavata nel tufo. Per mezzo di alcuni gradini si può entrare al suo interno, dove sono collocate delle panche e un tavolo. Data la forma dell’ambiente, le voci di coloro che vi entrano sono amplificate e distorte, creando un effetto spaventoso.
Il Vaso Gigante, la Panca Etrusca e l’Ariete, sono tre figure poste a brevissima distanza tra loro: si tratta di una gigantesca anfora decorata con una testa di gorgone, un ariete seduto (molto rovinato) e una panca collocata in una nicchia, che ricalca precisamente la forma di un triclinium romano (o etrusco), sulla quale è tuttora possibile sedersi.
La figura della regina dell’Ade Proserpina, molto rovinata, è rappresentata come una donna a braccia aperte, la cui veste è in realtà un’ampia panca su cui è possibile sostare. A pochi passi da lei è Cerbero, il cane dotato di tre teste a guardia dell’Oltretomba. Alle spalle delle due figure si trova il Piazzale delle Pigne, così denominato perché scandito da sculture che riprendono il cosiddetto Pignone.
Di fronte al Piazzale delle Pigne si trovano due mostruose sculture affrontate. Echidna è ritratta come una colossale donna con due code di serpente al posto delle gambe (simile all’iconografia medievale della sirena); la Furia è invece una donna con coda e ali di drago. Tra di loro sono accucciati due Leoni, figli di Echidna e presenti nello stemma di Viterbo.
Leggermente isolato rispetto al percorso principale del Parco si trova una singolare costruzione, un piccolo Tempio che in realtà fu costruito vent’anni dopo rispetto al resto del Parco in onore della seconda moglie di Vicino Orsini, una principessa Farnese. Il Tempio riprende forme architettoniche di diverse epoche, quella classica (frontone, colonnato e vestibolo) e quella rinascimentale (cupola). L’interno è in realtà costituito da una piccolissima aula circolare, nella quale la famiglia Bettini, che ha restaurato il complesso, ha posto una lapide alla memoria di Tina Severi Bettini, deceduta anche a causa di una contusione durante i lavori di ripristino del parco.

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